La Corte

In questa poesia, qualche verso è scritto in séeledué una lingua che sto tentando di creare per un popolo fatato di una mia storia; è un tentativo, ma spero sia ugualmente piacevole.

Una sera come tante
la porta dorme
il senso giace
dove vaga l’istante
Dénvald’oh maet duéd[1]

Una voce senza corpo
sulle vaghe orme
del passo fugace
per un mondo senza corpo
dove il cuore cadrà.

Una valle come culla,
salici d’ambra
loto d’argento
fra gli archi di betulla.
Un canto mareggiò

dalla coltre sul sentiero.
D’ombra in ombra,
in passo lento,
come forma dal pensiero
la corte giungerà.

Una sera come tante
la porta dorme
il senso giace
dove vaga l’istante
“Dénvald’oh maet duéd”

Sorse in murmure la corte,
di Oberon Re
ed Erato Regina
nel cammino senza sorte.
Eneh néal dua dhan.[2]

Nove volti nove volte,
come un ruscello
di muschio e d’oro
sotto silvestri volte,
la corte mi passò.

Lance basse ed occhi scuri,
cappe di vello
su rami di alloro
incisi dagli auguri.
Habnal òveran dhràn.[3]

Una sera come tante
la porta dorme
il senso giace
dove vaga l’istante
Dénvald’oh maet duéd.

Un’ancella di acqua e neve
dopo i guerrieri
anzi gli Antichi
volse l’occhio di acqua e neve
e pietosa mi guardò.

Si scostò dalla sua gente
in quieta pena
su dita di stelo
accostò una coppa ardente
di rosso verso me.

Una ciocca dal suo viso
su occhi di falena
rivolò in un velo
nel silenzio all’improvviso.
Evehl, dhran, evehl![4]

Una sera come tante
la porta dorme
il senso giace
dove vaga l’istante
Dénvald’oh maet duéd.

Ma la coppa è già sbiadita
con lei le forme
con lei i colori
come l’oro fra le dita.
Oggi non berrò.

Queste labbra lappo ansante.
Una voce chiama.
La cena è pronta.
Una sera come tanto
lontano mangerò.


[1] “Benvenuto nella Foresta Buia” [dén-val-tòff mét du-éd]

[2] “Come il nostro oscuro sogno.” [Ené ne-àl du-à da-hàn]

[3] “senza l’inquieto sognatore” [haff-nàl òv-ràn dah-ràn] “dhran” da “dhan” (sogno) può significare sia “sognatore” che “poeta alle prime armi”

[4] “Bevi, sognatore, bevi” [ev-èl da-ràn ev-èl]