Il blu di mezzanotte si riversa
nel solco lasciato sul petto
del fabbro. L’ultima pipa del giorno
vena la notte di lieve zaffiro,
che pianta qualcosa nel cuore.
Il solo Barbalunga lì rimasto
torna alla forgia con passo pesante
chiuso in pensieri
che offuscano l’arte,
quella vaga viandante che attraversa
questi occhi distanti nel tempo.
Là, la porta della fucina assopita
si accende in braci che non sono luce
e il simbolo dell’albero fregiato sui battenti
sembra spogliato di foglie autunnali;
il blu di mezzanotte ha già colmato
di zaffiro gli antichi disegni.
Il Barbalunga torna alla fucina,
incoronata di fuochi come stelle,
che alta di sale sfiora luna e sole
e risuona dell’eco di canzoni
leggere come spettri per le mura
vuote, colme di Re e di Regine passati.
Il Barbalunga afferra
il maglio della stirpe di artigiani,
ma sotto i fuochi, gli astri e le canzoni
il cuore tace il battito che crea.
Il Barbalunga siede
sul ceppo al centro della forgia vuota,
sordo agli spettri, nascosto agli sguardi
che lui stesso ha dipinto sulle mura
di quel tetto che esiste e resiste.
Il Barbalunga pensa,
pensa al solco nel petto, al riflesso
del silenzio, nel cuore e nella casa
e sull’incudine che il vento sfiora
come dita calde su un corpo freddo.
Il Barbalunga piange
(via dagli sguardi di Re e di Regine)
sulle mani callose, inoperose
per la vergogna di un’arte che fugge
come un’ombra d’argento si perde fra i monti.
Il Barbalunga piange
riflessi del riflesso di una scheggia
che la notte ha lasciato in quel solco nel petto.
La scheggia è una scintilla, poi un bagliore,
poi frescura, poi candore.
È come l’acqua fresca
nei giorni in cui la forgia era splendente.
Di brezza e infine luce,
le lacrime diventano le schegge
che smussano gli sguardi sulle mura
e svelano i ricordi oltre gli spettri
di montagne e di valli senza nome,
di acque cristalline mai bevute,
di un albero scolpito per l’onore
e l’amicizia di un varco sempre aperto.
Il blu di mezzanotte si riversa
come il vino nel calice, si infonde
nel solco, nelle linee delle mani
nel martello,
in cose chiare e in cose profonde,
nel petto e nelle mura della forgia.
Ora una attende il battito dell’altro
per creare ancora.
Il Barbalunga avanza
al centro della fiamma che si sveglia
come una luna che conquista l’alba.
Ora il cuore dà il ritmo sull’incudine.
Il Barbalunga sorride alla fine
e dal frammento blu di mezzanotte,
dal cielo e dalle guance,
forgerà una corona dalle schegge,
la più rara e la più bella di tutte.