Dico: Montale ha torto, io lo so
perché temo custodisca la ragione
della storia con sé, della memoria
di ogni verso evocato che forgiò
la terra sotto questi tremanti passi
temendo i cocci nel limo nascosti,
come una chiglia su baffi bruttati
che crepitante sulla schiuma di ossa
si cala come corpo nella fossa.
E nella terra nera, lungo la terra morta
dagli infiniti occhi, nel rifiuto degli specchi.
Posano franti spicchi in pace nell’Ade brullo.
In pace, non in-quiete. Carezze di asfodeli
per gli occhi, per gli spicchi, non per questa chiglia.
Dico: Montale ha torto io l’ho visto,
non guardia sugli scogli, ma come ombra in-terrena
veste il viandante per l’ultima arena.
Ancora narra di Gadda e di Svevo,
che sono sempre lì
e distanti come il mondo
sulle pagine sorgenti,
come fruscii di serpi.
Come rovinano i frutti dell’Ade,
fra i rami rigogliosi di notturni!
E come sgrana, rado ogni suo passo
la terra cruda!
Dico: Montale ha torto lo vorrei,
ma nei passi dei versi mi rifletto
e distante dai cieli rimarrei.